Nuccio Sciacca
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Psicologia dell’invecchiamento: la demenza
“Si deve incominciare a perdere la memoria, anche solo brandelli di ricordi, per capire che in essa consiste la nostra vita. Senza memoria la vita non è vita… La nostra memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro agire. Senza di essa non siamo nulla… (Luis Bunuel)
Il 21 settembre di ogni anno ricorre la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Alzheimer’sDisease International (ADI), allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e i cittadini su questa grave patologia che rappresenta la forma più diffusa nel mondo di demenza.
L’invecchiamento della popolazione nei paesi occidentali rappresenta ormai un fenomeno sempre più attuale che comporta una serie di importanti conseguenze dal punto di vista economico e sociale. Secondo i dati del Ministero della Salute (2010), l’Italia è il paese più “vecchio” d’Europa. Il numero di anziani nel Paese cresce progressivamente e si stima che entro il 2030 potrebbero essere il 26,5% della popolazione. Negli ultimi 20 anni il tasso di over 80 è aumentato del 150%.
Questo drastico cambiamento demografico costringe dunque a ripensare e a riorganizzare i servizi sanitari in funzione delle esigenze dei pazienti più anziani. L’aumento del numero delle persone anziane ha infatti determinato un incremento della prevalenza delle malattie croniche rispetto a quelle acute. Le cause principali di morte nel paziente anziano sono soprattutto le cardiopatie, seguite da neoplasie, malattie cerebrovascolari e broncopneumopatie. Le malattie mentali e neuropsichiatriche hanno inoltre un’incidenza particolarmente alta nella terza età: le varie forme di demenza hanno una prevalenza del 6-8% a 65 anni e di oltre il 30% dopo gli 80 anni (Invernizzi, 2006).
Occorre, inoltre, tener conto del fatto che la vecchiaia rappresenta una fase di vita particolarmente delicata poiché l’anziano si trova a dover affrontare una serie di perdite oggettive: del tempo che rimane da vivere, del vigore del proprio corpo, degli affetti più cari, del proprio ruolo sociale, della sessualità, della propria autonomia. Queste esperienze possono determinare una profonda crisi della propria identità personale e favorire la manifestazione di varie forme di disagio psicologico o addirittura di psicopatologie.
Tra le patologie più diffuse nella terza età, vi è sicuramente la demenza. Secondo la definizione di Invernizzi, “la demenza è una sindrome clinica caratterizzata dalla perdita di più funzioni cognitive, tra le quali invariabilmente la memoria, di entità tale da interferire con le usuali attività sociali e lavorative del paziente”. I sintomi non sono solo cognitivi ma sono presenti anche sintomi non cognitivi che riguardano la sfera della personalità, l’affettività, l’ideazione, le funzioni vegetative e il comportamento. La demenza può essere il risultato di diversi quadri patologici: la malattia di Alzheimer è la causa più frequente (50-70% dei casi), seguita dalle cause vascolari e da altre patologie neurodegenerative come la demenza a corpi di Lewy e la malattia di Pick.
La prevalenza della patologia aumenta con l’età ed è maggiore nel sesso femminile, soprattutto nella malattia di Alzheimer. L’esordio è generalmente insidioso e il decorso cronico-progressivo. I primi sintomi riguardano una lieve perdita di memoria che progredisce gradualmente. La persona dimentica impegni, è distratto, ripetitivo e può presentare episodi di disorientamento spazio-temporale. Con l’avanzare della malattia, anche la memoria a lungo termine viene compromessa e il paziente arriva a non riconoscere più nemmeno i familiari. Inoltre possono manifestarsi labilità emotiva, depressione, apatia o cambiamenti nella personalità. Nelle fasi avanzate, il paziente non è più autosufficiente e necessita di assistenza continua, la memoria a lungo termine è irrimediabilmente persa e il rischio di complicazioni quali malnutrizione, malattie infettive, fratture e piaghe da decubito è elevato.
È importante cogliere subito i primi segnali per poter porre una diagnosi di demenza il più tempestivamente possibile. Generalmente sono i familiari a rendersi conto che qualcosa non va nel comportamento del loro congiunto ed è in questa fase iniziale che occorre rivolgersi ad uno specialista il quale, tramite una valutazione specifica, potrà stabilire l’esatta natura di questi disturbi e impostare un idoneo trattamento.
Un aspetto importante da sottolineare e che spesso viene trascurato è l’enorme impatto emotivo e psicologico che comporta per i familiari l’assistenza a un congiunto con demenza. Assistere al progressivo deterioramento fisico e cognitivo del proprio caro, il quale arriva a non riconoscere più i suoi familiari, può costituire una esperienza fortemente destabilizzante e determinare l’insorgenza di varie forme di disagio psichico nei caregiver come ansia, attacchi di panico o depressione.
Pertanto, è fondamentale attivare una adeguata rete di assistenza non solo per il paziente con demenza ma per l’intero sistema familiare, poiché le patologie della terza età rappresentano ormai la nuova sfida da affrontare dal punto di vista sociale e sanitario.
(articolo originariamente pubblicato sul blog “Scienza&Salute”)
Dott.ssa Valentina Lucia La Rosa
Psicologa
Riferimenti bibliografici
Ministero della Salute (2010). Relazione sullo stato sanitario del Paese 2009-2010. Disponibile su: https://www.rssp.salute.gov.it.
Invernizzi, G. (2006). Manuale di Psichiatria e Psicologia Clinica. McGraw-Hill: Milano.
Vallar, G. e Papagno, C. (a cura di) (2007). Manuale di neuropsicologia. Il Mulino: Bologna.
Grossi, D. e Trojano, L. (2011). Lineamenti di neuropsicologia clinica. Carocci: Roma.
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