“Diffondiamo il comunicato della Commissione Intersocietaria sull’Osteoporosi, recentemente costituita e di cui fa parte il Prof. Erio Fiore che gentilmente ci ha fornito il documento. Crediamo sia opportuno darne ampia diffusione in modo da avviare un diffuso processo di comportamento virtuoso tra i Colleghi. Il documento è in perfetta sintonia con quello redatto dalla Commissione per l’Appropriatezza del nostro Ordine e che già a suo tempo abbiamo diffuso e questo a conferma dell’ottimo lavoro allora svolto”.
Commissione Intersocietaria per l’Osteoporosi
Osteoporosi e fratture da fragilità
Essenziali indicazioni diagnostiche e terapeutiche
Con l’obiettivo di superare le numerose e ben note criticità presenti a livello Nazionale nella gestione dell’Osteoporosi, la Commissione paritetica composta dai rappresentanti di alcune delle Società Scientifiche Italiane che si occupano dei Pazienti con Osteoporosi (SIE, SIGG, SIMFER, SIMI, SIR, SIOT, SIOMMMS) ha prodotto il presente documento (in corso di approvazione da parte delle singole Società Scientifiche aderenti al progetto) al fine di fornire indicazioni essenziali per un comportamento diagnostico e terapeutico omogeneo e condiviso.
La diagnosi:
Individuazione dei soggetti ad alto rischio di frattura
Il primo obiettivo è di individuare i soggetti ad elevato rischio assoluto di frattura per i quali è più forte l’indicazione al trattamento: infatti, con l’aumento del rischio di frattura si riduce il NNT (Numero di Pazienti da trattare per prevenire una frattura) e migliora il rapporto rischio-beneficio per ogni opzione di terapia. Lo strumento operativo di primo impiego per identificare i soggetti a rischio elevato di frattura è costituito dalla nota AIFA 79: se un soggetto risulta incluso nei criteri della nota, il suo rischio di frattura va considerato elevato e di conseguenza, accanto ad approcci non farmacologici, è sicuramente giustificato il ricorso al trattamento con farmaci. Nel caso in cui il soggetto non rientri tra le categorie previste dalla Nota 79, considerando che la soglia diagnostica dell’Osteoporosi non coincide con quella terapeutica in quanto altri fattori, scheletrici ed extrascheletrici (età, familiarità, comorbidità, terapia farmacologiche, cadute, fumo, peso, alcol, fratture pregresse), condizionano il rischio di frattura , è necessario stimarne il rischio fratturativo assoluto nei successivi dieci anni mediante un algoritmo dedicato (FRAX o DeFRA) e non limitarsi alla sola valutazione densitometrica che è tuttavia opportuno inserire sempre nell’algoritmo: essa va condotta utilizzando la metodica DXA (dual-energy x-ray absorptiometry) ed eseguita a livello del femore prossimale e del rachide lombare (L1-L4). L’accuratezza della densitometria, che è necessario venga eseguita da personale qualificato, si riduce in presenza di numerose condizioni interferenti che devono essere valutate in sede di esecuzione dell’esame, procedendo eventualmente all’esecuzione della DXA a livello dell’avambraccio. Non è opportuno eseguire la densitometria come test di screening in tutta la popolazione, ma solo nelle femmine di età superiore ai 65 anni e nei maschi con più di 70 anni ed in soggetti di ogni età che presentano fattori di rischio clinici; in considerazione del coefficiente di precisione della metodica DXA, la ripetizione dell’indagine è raramente giustificata prima di 18-24 mesi. Considerando che la presenza di pregresse fratture da fragilità, sia vertebrali che non vertebrali, costituisce un fattore di rischio molto importante per nuove fratture e che la maggior parte delle fratture vertebrali prevalenti è misconosciuta, è indicata la loro ricerca con indagini radiografiche del rachide dorsale e lombare o con la Vertebral Fracture Assessment utilizzando i criteri diagnostici indicati da Genant, ed in particolare nelle seguenti condizioni:
1) In presenza di sintomatologia sospetta per frattura vertebrale: dolore vertebrale intenso, che peggiora con la stazione eretta, anamnestico o in corso
2) anche in assenza di sintomatologia
Ø in tutte le donne tra 65 e 69 anni e uomini tra 70 e 79 anni con T-score <-1.5
Ø In donne in post-menopausa e uomini di 50 anni e oltre con specifici fattori di rischio:
– Pregresse fratture da fragilità
– Riduzione dell’altezza > 4 cm rispetto alla giovane età o > 2 cm rispetto all’ultimo controllo
– Marcata riduzione dei valori densitometrici (T-score < -3)
– Terapia con cortisonici equivalente a >5 mg di prednisone o equivalenti al giorno per > 3 mesi
– Patologie concomitanti associate ad un aumentato rischio di fratture vertebrali
Diagnostica delle osteoporosi secondarie
In tutti i soggetti a rischio elevato di frattura, prima di iniziare un trattamento farmacologico, è indispensabile eseguire una valutazione clinica per evidenziare l’eventuale presenza di malattie causa di osteoporosi secondaria, che presentano prognosi e modalità di trattamento diverse dall’osteoporosi primitiva (Tabella 1). In particolare, è sempre necessario eseguire gli esami di laboratorio di primo livello, riservando l’esecuzione degli esami di II livello in presenza di specifici sospetti clinici o in caso di osteoporosi particolarmente grave in relazione all’età (Z-score < -2 alla scansione DXA e/o fratture da fragilità con caratteristiche non comuni per numero o gravità) (Tabella 2)
Tabella 1 Principali Osteoporosi secondarie Malattie Endocrine e Metaboliche Alterazioni NutrizionaliIperparatiroidismo primitivo e secondario Malassorbimento Intestinale
Ipogonadismo Celiachia. Gastrectomia Tireotossicosi Insufficiente apporto alimentare di calcio Ipercorticosurrenalismo Alcolismo Diabete di Tipo I e II Malattie Infiammatorie intestinali Anoressia Nervosa Ipofosfatasia Da Farmaci Altre condizioni Glucocorticoidi Osteogenesi Imperfetta L-Tiroxina a dosi soppressive Artrite Reumatoide ed altre connettiviti Anticoagulanti Mieloma Multiplo Anticonvulsivanti HIV Inibitori dell’Aromatasi Trapianti d’organo Antagonisti del GnRH |
Tabella 2. Esami di Laboratorio utili alla diagnosi di osteoporosi secondarie Esami di I livello Esami di II Livello
VES Calcio ionizzato
Emocromo completo TSH
Protidemia Frazionata Ormone Paratiroideo
Calcemia totale, eventualmente 25-OH-Vitamina D
corretta per l’albuminemia Anticorpi anti-transglutaminasi
Fosforemia Cortisolemia dopo soppressione overnight
Fosfatasemia alcalina totale con 1 mg di Desametazone
Creatininemia Testosterone totale nei maschi
Calciuria delle 24 ore Immunofissazione sierica e/o Urinaria
Esami specifici per patologie associate
(es: ferritina e % di saturazione della Transferrina,
La terapia
Approcci non farmacologici
Il ruolo degli approcci non farmacologici è fondamentale nella prevenzione della patologia osteoporotica in Pazienti ad alto rischio fratturativo, ma anche nella popolazione in generale e fin dall‘età infantile. Occorre promuovere anzitutto la cessazione del fumo di tabacco e la moderazione nel consumo di alcolici, entrambe condizioni molto dannose per l’osso. Inoltre un’adeguata introduzione con la dieta di nutrienti essenziali (proteine, calcio, altri minerali) durante tutte le fasi della vita è indispensabile per mantenere l’osso resistente. Infine, l’attività fisica, che va promossa ad ogni età, negli adolescenti e nei giovani adulti include esercizi di rinforzo, esercizi in carico e di impatto, mentre negli anziani sono indicati esercizi di rinforzo e sono importanti gli esercizi per l’equilibrio che concorrono alla riduzione del rischio di caduta. Sempre per ridurre il rischio di caduta si raccomandano nell’anziano, interventi multidisciplinari che accanto all’esercizio fisico prevedano adattamenti ambientali, la revisione della terapia farmacologica e di volta in volta provvedimenti per affrontare condizioni di rischio specifiche
Il trattamento della frattura vertebrale in acuto prevede misure conservative quali riposo, busti o corsetti, analgesici minori e maggiori. La vertebroplastica o la cifoplastica, che inducono di regola una immediata risoluzione della sintomatologia dolorosa, possono essere prese in considerazione, meglio se dopo valutazione collegiale, a pazienti con dolore intrattabile da settimane, visti i rischi connessi alle procedure ed agli incerti benefici nel lungo termine e sono ovviamente improponibili nei pazienti pauci o asintomatici
La supplementazione con Calcio e Vitamina D
La prescrizione di farmaci a soggetti depleti di vitamina D e con insufficiente apporto di calcio può compromettere l’efficacia della terapia farmacologica e può causare Ipocalcemia ed Iperparatiroidismo secondario, soprattutto quando si utilizzano i più potenti inibitori del riassorbimento (Denosumab e Zoledronato). Tutti i trial che hanno dimostrato l’efficacia di farmaci per la prevenzione delle fratture hanno previsto del resto la somministrazione di calcio e di vitamina D e la Nota 79 AIFA esplicita questo concetto nelle sue considerazioni generali
Poichè l’impiego indiscriminato di supplementi di calcio comporta rischi potenziali, si raccomanda di seguire le seguenti indicazioni:
1) Stimare sempre l’apporto alimentare mediante breve questionario prima di qualunque prescrizione.
2) Tentare sempre di garantire un apporto adeguato di calcio con la sola dieta.
3) Ricorrere ai supplementi solo quando la correzione dietetica non sia sufficiente, indicandone
l’assunzione ai pasti e per la dose minima necessaria a soddisfare il fabbisogno, eventualmente
suddividendola in più somministrazioni per ridurre la comparsa di effetti indesiderati
La carenza di vitamina D è talmente comune in Italia nella popolazione anziana in generale e nei soggetti a rischio di frattura da fragilità che può essere considerata di regola presente, anche se non si dispone di un dosaggio plasmatico di 25 OH D. Ove, come spesso avviene, non sia possibile correggere tale carenza con la dieta o con un’adeguata e non rischiosa esposizione alla luce solare, si deve ricorrere a supplementi di colecalciferolo, preferibilmente con una posologia giornaliera o settimanale, evitando i metaboliti idrossilati in posizione 1 (calcitriolo e alfacalcidolo) che, superando la tappa regolatoria endogena possono esporre il paziente a rischio di ipercalcemia. Boli annuali con elevate dosi di colecalciferolo o di ergocalciferolo non sono raccomandati. Un dosaggio ematico di 25-OHD può essere eventualmente effettuato al raggiungimento dello steady state (indicativamente 3-6 mesi dopo l’inizio della supplementazione) per verificare che la dose sia adeguata e per consentire adattamenti posologici. L’obiettivo da raggiungere è una concentrazione di 25 OH D circolante di 30ng/ml (75nmol/l), stabile nel tempo.
L’impiego di metaboliti idrossilati della vitamina D, calcifediolo e calcitriolo, trova attualmente una indicazione razionale in presenza di specifiche condizioni: per il calcifediolo, in caso di deficit di 25-idrossilazione (es. severa insufficienza epatica, ipogonadismo maschile, mutazioni inattivanti del gene codificante l’enzima 25-idrossilasi), di ridotta biodisponibilità del colecalciferolo (es. obesità) o di malassorbimento intestinale; per il calcitriolo, in condizioni di deficit dell’enzima 1-alfa-idrossilasi (es. insufficienza renale medio-grave, ipoparatiroidismo e mutazioni del gene codificante l’enzima 1-alfa-idrossilasi). In caso di uso di calcitriolo va tuttavia garantito un apporto di colecalciferolo utile al raggiungimento delle concentrazioni circolanti raccomandate di 25 OH-D3.
I farmaci
Tenendo sempre presente che lo scopo principale della terapia è la prevenzione delle fratture e che i farmaci elencati nella Nota 79 hanno dimostrato di ridurle significativamente in corso di trial randomizzati e controllati, essi vanno sempre utilizzati nei Pazienti ad elevato rischio; inoltre, tenendo conto della loro diversa efficacia (entità di riduzione del rischio di frattura e tipologia di frattura prevenuta, rapporto costo/efficacia, aderenza al trattamento da parte dei pazienti e rischio di eventi avversi), sono stati suddivisi in prima, seconda e terza scelta per ognuna delle condizioni di rischio considerate. La distinzione in fasce non soltanto disciplina le condizioni di erogazione dei farmaci da parte del Servizio Sanitario Nazionale, ma rappresenta anche in termini clinici una guida molto ragionevole per l’indicazione all’uso di quello più appropriato. Relativamente alla durata del trattamento, essa non può superare i due anni per Teriparatide e, per gli altri farmaci, è di alcuni anni consecutivi. Trascorsi 3-5 anni di terapia continuativa con aderenza sufficiente (>80%), occorre rivalutare caso per caso il rapporto tra i benefici di una prosecuzione del trattamento (ulteriore riduzione del rischio di frattura) ed i possibili rischi da eventi avversi, generalmente rari e spesso del tutto sopravvalutati, cui la prosecuzione stessa può esporre il paziente. Per ogni soggetto e per ogni trattamento si dovrà stabilire se sia più vantaggioso proseguire la terapia, interromperla, o sospenderla temporaneamente
SIE (Società Italiana di Endocrinologia) SIGG (Società Italiana di Gerontologia e Geriatria
ML Brandi e S Migliaccio (Segretario) P Falaschi e S Maggi
SIMFER SIMI (Società Italiana di Medicina Interna)
(Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa) CE Fiore e S Minisola
G Checchia e G Iolascon
SIOMMMS
(Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro)
L Dominguez e GC Isaia (Coordinatore)
SIOT (Società Italiana di Ortopedia) SIR (Società Italiana di Reumatologia)
R Capanna e U Tarantino O Di Munno e M Rossini
Hanno collaborato: Francesco Bertoldo e Marco Di Monaco
06 Giugno 2016