Meno medici di famiglia nei prossimi anni

Meno medici di famiglia nei prossimi anni

6 Ottobre 2016 Nino Rizzo 0

Stiamo per dare addio al vecchio, caro medico di famiglia? Non è una provocazione né un modo per attirare l’attenzione del lettore ma un dato statistico sotto gli occhi di tutti. Entro sette anni 20 milioni di italiani potrebbero rimanere senza il proprio dottore perché tra numeri chiusi, pardon programmati, ed anche troppo, di giovani che vogliono aprire uno studio di medicina generale e medici in fuga da una professione strangolata dalla burocrazia che non li soddisfa più, entro il 2023 verranno a mancare 16 mila medici di famiglia. Calcolando che mediamente ognuno di loro segue oggi 1200 pazienti, vuol dire che un assistito su tre rimarrà senza medico.
Un fenomeno diffuso in tutta Italia, anche se i numeri sono più allarmanti a Nord. In Piemonte, ad esempio, nei prossimi sette anni lasceranno lo studio 1173 medici di famiglia, in Lombardia 2776, in Veneto 1600, in Liguria 527. Considerando la popolazione, non sono pochi. E il problema è per ogni quattro dottori che lasciano, ce n’è solo uno pronto a subentrare se le regioni continueranno, come fanno oggi, a elargire con il contagocce le borse di studio per accedere alla professione. E in Sicilia? Lasceranno lo studio 1.664 medici e 1.996.800 persone resteranno senza medico. I numeri sono stati diffusi al congresso nazionale della Fimmg e parlano chiaro. Da oggi al 2023 andranno in quiescenza 21.700 medici di famiglia, che se prima appendevano il camice al chiodo verso i 70 anni «ora si ritirano intorno ai 67. O anche prima, se hanno raggiunto i 35 anni di contribuzione» come ha spiegato Vincenzo Pomo, coordinatore della Sisac, l’organismo che per la parte pubblica contratta i rinnovi delle convenzioni mediche. «Bisogna aumentare i posti nelle scuole post-laurea di medicina generale, altrimenti sul territorio rimarranno solo i pazienti», ha aggiunto il presidente dell’Enpam, Alberto Oliveti. I dati diffusi dalla Fimmg in effetti gli danno ragione: le Regioni che programmano l’accesso alla professione non vanno oltre i 900 borsisti l’anno, mentre le uscite marciano al ritmo più che triplo: oltre tremila camici bianchi ogni dodici mesi. Il problema è anche la retribuzione perché i giovani non vengono tanto incentivati a intraprendere la formazione in medicina generale, visto che quelli che scelgono la specialistica, come chirurgia od ortopedia, possono contare su una retribuzione mensile di 1700 euro. I borsisti che aspirano a diventare medici di famiglia a malapena raggiungono gli 800 euro. Questione economica a parte per spiegare il vuoto c’è anche e soprattutto il fatto che la formazione dei giovani specialisti la fa l’università, che per questo riceve finanziamenti anche ingenti e che, nonostante il numero chiuso, ha tutto l’interesse a mantenere più cattedre possibili. Quella dei futuri medici di famiglia è invece a carico delle Regioni. Che da un lato tirano i cordoni della borsa, dall’altro – insieme al governo centrale – pensano a un nuovo modello di assistenza per il futuro dove il primo punto di contatto per il cittadino sul territorio non sarà più il medico di base ma infermieri e tecnici della riabilitazione, con alle spalle équipe mediche pronte a intervenire alla bisogna. Un sistema che si pensa possa far limitare le prescrizioni e, quindi, produrre risparmi. E qualcuno solleva il sospetto che si voglia un modello di cure territoriali senza medici di famiglia che come tutti sappiamo è impensabile.

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Nino Rizzo

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