Angelo Milazzo
Presidente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps),
Email: milazzo@cataniamedica.it
Organo Ufficiale di Informazione e Formazione dell'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Catania
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la pandemia “continua a costituire un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale e il virus conserva la capacità di evolversi in nuove varianti con caratteristiche imprevedibili”.
Però nei Paesi più sviluppati a destare preoccupazioni è soprattutto il Long Covid, che interessa circa una persona su tre, nell’ambito dei soggetti che hanno contratto la malattia. Uno Studio condotto presso la George Washington University e pubblicato sulla Rivista della CDC ha dimostrato la minore frequenza del Long Covid nei soggetti vaccinati, nei non-fumatori, e nei soggetti che hanno avuto forme meno gravi di Covid.
Disfunzione olfattoria
Uno degli effetti a lungo termine dell’infezione da Sars-Cov-2 è la disfunzione olfattoria, indicata anche come iposmia o anosmia. Uno Studio Italiano, pubblicato sulla Rivista Brain, Behavior and Immunity ha identificato dei fattori molecolari potenzialmente implicati nel disturbo olfattivo in soggetti con iposmia o anosmia da almeno 6 mesi. Per scoprirlo sono stati confrontati i neuroni olfattori di una coorte di soggetti con disfunzione, con una coorte di soggetti sani, come gruppo di controllo. I neuroni olfattori sono simili per molti aspetti ai neuroni cerebrali e sono stati prelevati con la tecnica non invasiva del nasal brush, cioè di spazzolamento della mucosa olfattoria. Per mezzo dell’analisi dei neuroni olfattori è stato dimostrato un grande aumento nell’attività di due vie infiammatorie strettamente legate all’olfatto regolate dalla sostanza P (SP) e dalla prochineticina- 2 ( PK2). Le disfunzioni olfattorie post Covid potrebbero essere preludio di potenziali conseguenze neurologiche a lungo termine.
“Fatigue” e arginina
Tra le principali manifestazioni post-Covid assume massima importanza la “fatigue” che provoca prolungata ed invalidante spossatezza, associata ad astenia, insonnia, tachicardia. Un altro Studio Italiano, pubblicato su “International Journal of Molecular Sciences” ha dimostrato che tale stanchezza può essere associata a un’alterazione del metabolismo della arginina. Lo Studio si inserisce in un filone di ricerca già aperto da una recente pubblicazione sulla Rivista Nutrients. Questo amminoacido, prodotto naturalmente dal nostro organismo, stimola la sintesi dell’ossido nitrico, fondamentale per potenziare il sistema immunitario e proteggere l’endotelio. Quindi ripristinare i valori di arginina potrebbe rappresentare una nuova strategia integrativa contro la “fatigue” da Long Covid, che può essere associata a disfunzioni immunitarie e vascolari, che a loro volta aumentano il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. I ricercatori hanno dimostrato che la somministrazione di 1,6 grammi di arginina e 500 mg di vitamina C liposomiale per 28 giorni riporta il metabolismo dell’arginina a un livello normale e consente di contrastare efficacemente la “fatigue”.
Alterazioni cerebrali
Un recentissimo Studio Italiano, pubblicato su Journal of Neurology, ha osservato alterazioni cerebrali in poco meno della metà dei casi analizzati. Lo Studio ha riguardato soggetti che, a distanza di un anno dalla malattia, lamentavano ancora disturbi di concentrazione, “nebbia mentale”, stanchezza, astenia. I pazienti presi in considerazione presentavano persistenti disturbi cognitivi rilevati da specifici test neuropsicologici 1 anno dopo il Covid, disturbi mai lamentati prima della malattia. Questo gruppo di pazienti è stato esaminato con tomografia ad emissione di positroni (Pet) usando come marcatore il glucosio legato ad un isotopo radioattivo. Il poco meno della metà dei soggetti la Pet ha fatto rilevare un ridotto funzionamento delle aree temporali (correlabili a funzioni di memoria), del tronco encefalico (correlabili a circuiti che regolano attenzione ed equilibrio) e nelle aree prefrontali (correlabili a motivazioni e comportamenti). In un soggetto che presentava disturbo cognitivo più grave è stata utilizzata una sostanza che permette di visualizzare la deposizione di amiloide nel cervello. L’indagine ha dimostrato un abnorme accumulo di amiloide nei lobi frontali e nella corteccia cingolata (legate a funzioni cognitive complesse ed alle emozioni). Sono state dimostrate quindi, in quasi la metà dei casi indagati, alterazioni delle aree cerebrali temporali, frontali, e del tronco encefalico. L’aumento dell’amiloide potrebbe essersi determinata in relazione all’infezione, oppure all’innesco da parte dell’infezione della cascata neurovegetativa.
I disturbi cognitivi nei quali non si riscontrano alterazioni cerebrali potrebbero essere correlati a modificazioni di tipo psicologico, analoghe al Disturbo post-traumatico da stress. Studi futuri dovranno confermare questi riscontri tra Long-Covid ed alterazioni cerebrali.
Presidente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps),
Email: milazzo@cataniamedica.it
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