La nostra comunicazione al tempo dei nuovi media

13 Aprile 2016 Massimo Buscema

Per il nostro Ordine la comunicazione ma soprattutto la condivisione della nostra azione sul territorio ha assunto un ruolo centrale.

Viviamo il tempo in cui la prevenzione sanitaria con grandi campagne sugli stili di vita, la raccolta fondi per sostenere la ricerca ed iniziative simili consentono al cittadino un maggior accesso all’informazione, con possibilità di essere più consapevole della propria salute tramite i nuovi media a partire dai cosiddetti social ma senza tralasciare riviste, supplementi di grandi testate giornalistiche, programmi radiofonici e televisivi in cui si parla di medicina, alimentazione, benessere psico-fisico. I media, vecchi e nuovi, assieme ai mutamenti socio-economici, hanno contribuito a far evolvere il concetto di salute e rendere più labile il confine tra sano e malato; talora la medicalizzazione estrema ha imposto il mito della salute e dell’individuo sano, efficiente e sempre giovane.

Tutti, indistintamente, ci riteniamo molto informati sui temi sanitari ma se per il medico è un percorso professionale i cittadini che usano internet, riviste e TV, lo fanno spesso in maniera poco opportuna. Solo un terzo, però ed aggiungo per fortuna, mette in pratica le informazioni raccolte dai media, talora troppo complesse, con eccessiva enfatizzazione di alcuni rischi, ritenendo ancora di dover seguire i consigli del proprio medico di famiglia. In un paese in continua ricerca e innovazione, nell’era dei robot in sala operatoria, l’informazione di massa può avere comunque un’enorme ricaduta e per questo deve essere corretta. Non dimentichiamo che i giornalisti spesso toccano temi etici e sociali e illustrano nuove tecniche che possono generare facili e irrealistiche aspettative nell’utenza; solo evitando strumentalizzazioni, conflitti di interesse, notizie distorte di “malasanità” e chiarendo i rapporti tra Medicina e Informazione si giungerà ad una comunicazione efficace per la prevenzione e utile in un sistema sanitario mod erno. Negli ultimi 30 anni la comunicazione medico-paziente è diventata sempre di più oggetto di studio ma anche un terreno scivoloso per le molte derive che le ‘teorie relazionali’ hanno introdotto nel delicato equilibrio del rapporto medico-paziente.

Il progresso tecnologico e scientifico, l’evoluzione della società, laica e pluralistica, il concetto di autonomia dell’individuo e la responsabilità del medico nell’uso appropriato delle risorse hanno determinato l’abbandono dell’etica paternalistica a favore di un modello contrattuale che introduce la pratica del consenso informato e riconosce al paziente il diritto di decidere se sottoporsi o meno a un trattamento. La realtà è molto più complessa e articolata perché il consumismo ha reso gli utenti più informati ma non più responsabili, mettendo a disposizione dati non sempre fruibili; la credenza che la medicina possa fare miracoli ha creato enormi aspettative che, se deluse, provocano diffidenza nella pratica clinica e ne gli operatori. Il medico poi deve conciliare le proprie convinzioni con le richieste del paziente, con possibilità di obiezione: si pensi solo ai trattamenti di fine vita, alle cure compassionevoli, alle nanotecnologie che mettono a dura prova ideologie e fedi religiose e il rapporto tra scienza e legge.

La difficoltà sta nel mantenere un giusto equilibrio affinché il paziente si senta autonomo nelle decisioni e nello stesso tempo compreso e sostenuto e il medico non deleghi completamente le sue responsabilità assumendo il ruolo di mero tecnico esecutore, perdendo credibilità e autorevolezza.

Oggi è radicalmente cambiata la relazione di cura, che resta comunque asimmetrica per le competenze del medico e la condizione di fragilità di chi gli si affida.

Bisogna evitare che lo sviluppo tecnologico e scientifico focalizzi l’attenzione più sulla malattia che sul paziente, che le pratiche sanitarie siano solo un aspetto tecnico applicativo, che il carico lavorativo e burocratico tolgano tempo all’ascolto e impediscano al medico di immedesimarsi nella storia del suo paziente, che la comunicazione sia frettolosa, distorta e inadeguata alla possibilità di comprensione, che quindi la Medicina fallisca nel suo compito primario di “prendersi cura”. Il medico deve conquistare la fiducia del paziente e limitare la propria autorità, riconoscergli la capacità di autodeterminarsi, accompagnarlo nelle scelte: le conoscenze scientifiche sono necessarie ma non sufficienti a infondere fiducia e speranza e favorire l’aderenza alle terapie concordate. La figura del medico diventa sempre più complessa e il contesto socio-politico attesta che essere medici oggi è una sfida importante ma saper comunicare bene è ancora sufficiente per garantire una “buona relazione”? I valori che guidano le scelte terapeutiche sono la convenienza, la sicurezza, l’aspettativa di vita e di salute, la prospettiva di conservare l’integrità del proprio corpo. Non tutti i casi e non tutti i pazienti sono uguali: la complessità e comorbilità delle patologie ci hanno condotto a un approccio olistico, con percorsi multidisciplinari personalizzati, cuciti sul paziente. La decisioni, condivise tra operatore e utente, dipendono sempre più da valori, opinioni, credenze sociali e religiose, rischi, possibilità di complicanze, possibili risultati. Va da sé che l’informazione asettica, per quanto corretta e comprensibile, e un alto livello di comunicazione non bastano: il paziente vuole che il medico sia coinvolto e lo sostenga nella scelta, che gli dia speranza ma allo stesso tempo sia sincero, esprimendogli anche i suoi dubbi e le incertezze della scienza, che rispetti le sue opinioni, che lo conforti e lo incoraggi, partecipi alle sue riflessioni ed emozioni, oltre a essere competente, aggiornato e riservato. Tutti questi fattori contribuiscono a creare e mantenere la fiducia, intesa come affidamento della propria salute, requisito indispensabile nella relazione e nel processo di cura. Freud diceva che la relazione è “questione di tatto” ed è nostro compito trasmettere alle giovani generazioni quello che potremmo definire l’esprit della medicina. In molti Atenei vengono svolti corsi specifici sulla relazione medico-paziente, sulla personalizzazione dei percorsi diagnostico-terapeutici, sulla bioetica e i giovani medici sono preparati e sensibilizzati a tali problematiche. Forse oggi più di ieri queste materie si insegnano all’Università, perché in passato la figura del medico paternalista e autoritario era scontata e il comportamento verso i pazienti si imparava per emulazione nelle corsie. Gli Ordini dovrebbero partecipare più attivamente ai corsi post-universitari con l’insegnamento del Codice deontologico e degli aspetti etici, così da trasmettere meglio alle nuove generazioni doveri e responsabilità della professione medica.

Autore

Massimo Buscema

Dal 2011 il professore Massimo Buscema (specialista endocrinologo) è Presidente del Consiglio dell'Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della Provincia di Catania.


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