Il dolore osteoarticolare nel paziente anziano con insufficienza renale cronica.
INTRODUZIONE
Il dolore cronico, di qualsiasi origine, non è caratterizzato soltanto dal perdurare nel tempo, ma modifica negativamente la percezione del paziente, ed il rapporto che si ha con se stessi, con i famigliari e con la comunità in senso ampio. Non è quindi più sintomo di allarme ma vera e propria malattia.
Quando un dolore si cronicizza, diventa infatti esso stesso malattia, come se si instaurasse una sorta di “epilessia” di quel secondo neurone midollare che trasmette lo stimolo algico al sistema nervoso centrale. Ne è un classico esempio la cosiddetta “sindrome dell’arto fantasma” dell’amputato.
La causa più frequente e diffusa del dolore cronico è la degenerazione articolare, più comunemente definita “artrosi”, che costituisce il principale motivo di limitazione funzionale e di sofferenza nell’anziano, con notevoli ripercussioni sul tono dell’umore e sulla sua capacità di socializzare.
Un articolo pubblicato lo scorso 01 Novembre 2011 sul quotidiano indipendente “Federanziani”, denunciava: Medici “bocciati senz’appello” nel trattamento del dolore.
Uno studio condotto attraverso l’intervista a 562 anziani da parte del “Centro Studi SIC (Sanità in cifre)” sul problema “dolore” ha evidenziato come il 58% riferisce un dolore costante o saltuario durante la giornata; il 38% di questi lamenta un dolore superiore a 6 nella Scala Analogica di Visualizzazione, quindi un dolore da considerare “invalidante”. Il 5% raggiunge addirittura il valore di 8 di detta scala!
Il dato che però più merita attenzione da parte soprattutto del medico curante è che per detto dolore cronico osteoarticolare, di quel 76% che si rivolge al proprio medico chiedendo ristoro dalla quotidiana affezione, il 64% riceve prescrizioni di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).
Orbene, sappiamo bene come spesso, a motivo dell’età, trattasi di pazienti politrattati per varie patologie di fondo e come pertanto detti farmaci presentino notevoli problematiche di interazioni, effetti gastrolesivi e soprattutto nefrotossici.
Considerando come assai spesso l’anziano tenda ad idratarsi poco e ad avere una limitata capacità di filtrazione glomerulare con ridottaclearance della creatinina, va valutata anche la concentrazione plasmatica dei farmaci che si somministrano e la loro emivita, sfruttando a volte con sapienza il vantaggio farmacocinetico della “area sotto la curva” (AUC) che consente di ottenere risposte farmacologiche efficaci con dosi ridotte rispetto ai più comuni schemi posologici.
CASO CLINICO
Il caso preso in esame riguarda una donna di 86 anni (V.D.), in buone condizioni cliniche generali; nulla di significativo in anamnesi remota ai nostri fini né in quella famigliare, ad eccezione di una lieve ipertensione sistolica in trattamento con un ACE-inibitore e, dall’epoca dell’osservazione, presenza di insufficienza renale moderata ed insufficienza venosa cronica.
Il principale sintomo lamentato dalla paziente era il dolore cronico osteoarticolare, riferito prevalentemente a livello lombosacrale e genicolare bilaterale. L’intensità del dolore percepito all’inizio della nostra osservazione corrispondeva al valore di 8 nella scala visiva.
Per detta sintomatologia, veniva riferita un’assunzione pressoché quotidiana e da anni di FANS, senza particolare beneficio duraturo.
All’esame obiettivo, la paziente si presentava in soprappeso, assisa e con notevole difficoltà a raggiungere la stazione eretta; succulenza degli arti inferiori con evidenti edemi declivi, discromia della cute da dermoipodermite da stasi, rumori di scroscio delle grosse articolazioni, particolarmente dolenti e funzionalmente limitate anche alle manovre passive; tono dell’umore depresso.
La paziente veniva subito messa in terapia con Fentanyl 12,5 mcg, che dopo sei giorni, persistendo ancora dolore, veniva raddoppiato alla dose di 25 mcg ed escitalopram 3 mg. All’inizio del trattamento, il principale effetto collaterale fu la manifestazione di nausea, attenuata dall’assunzione di 10 mg di domperidone solo per i primi giorni. Successivamente, la paziente cominciò a lamentare stipsi, rimediata brillantemente con l’assunzione serale di foglie di senna (con gli oppioidi sono sconsigliate sostanze che creano massa fecale).
L’osservazione dei parametri ematochimici esaminati ha riguardato un periodo di due anni.
Il valore della scala visiva del dolore passò da 8 a 2 in poche settimane, con il notevole vantaggio del miglioramento del tono dell’umore e soprattutto di una maggiore mobilità della paziente. La migliorata mobilità determinava un trend positivo sulla funzionalità articolare con notevole miglioramento in poco tempo del trofismo cutaneo degli arti inferiori.
Dall’inizio della nuova terapia, la paziente non ha mai più assunto FANS e questo, dopo circa un anno, portò anche la sospensione della terapia antipertensiva poiché nel periodo estivo cominciò a manifestare crisi ipotensive; oggi la P.A.O. è stabilizzata alla media di 120/60.
RISULTATI
I parametri della creatininemia sono passati dall’iniziale 1,20 mg/dl all’attuale 0,77 mg/dl; la clearance della creatinina è passata da 51 ml/min a 107,61 ml/min. Nessuna variazione significativa si è avuta sui parametri funzionali epatici.
Le variazioni percentuali, rispettivamente ai tre precedenti diagrammi, sono stati i seguenti:
- Valore scala percezione del dolore: – 75%;
- Creatininemia: – 15%;
- Clearance della Creatinina: 111%.
DISCUSSIONE
Il caso clinico preso in esame ha messo in evidenza come il dolore osteoarticolare di tipo degenerativo sia una delle principali affezioni del paziente anziano, spesso politrattato, che fa percepire una peggiore qualità della vita con ripercussioni negative sul tono dell’umore e sull’autosufficienza. Un’adeguata terapia del dolore, inducendo un parziale ripristino della funzionalità attiva delle articolazioni, fa sì che la migliorata mobilità del paziente diventi essa stessa terapia non solo di tipo muscolo-scheletrico ma anche vascolare, con miglioramento del trofismo cutaneo; inoltre, dal punto di vista nefrologico, la sospensione definitiva dell’uso di FANS determina positive ripercussioni sia sui parametri funzionali renali, sia sulla pressione arteriosa.
La paziente in questione non solo oggi accetta di buon grado la terapia, ma ha da tempo intrapreso anche alcune attività pratiche di tipo creativo che hanno notevolmente migliorato sia la qualità della sua vita sia il grado di socializzazione.