“Ed io… scrivo al Presidente della Regione neo eletto!”

“Ed io… scrivo al Presidente della Regione neo eletto!”

28 Novembre 2017 Redazione 0

Lettera di un medico al Presidente della Regione Siciliana
Onorevole Presidente Musumeci,
sono la Dott.ssa Rosaria Rapisarda, residente a Belpasso (CT) e svolgo la professione di Medico nel
servizio di Continuità Assistenziale (ex Guardia Medica) presso la sede di Ragalna, Distretto di
Paternò.
Alcuni giorni addietro mi sono permessa di inviarle un post tramite la Sua pagina ufficiale di
Facebook per segnalare, le condizioni “poco dignitose” in cui operiamo noi medici di Continuità
Assistenziale. Le sono grata per avermi invitato a scriverle presso il Suo Ufficio di Presidenza.
E’ da quasi due anni che noi Medici di C.A. portiamo avanti una vera e propria battaglia al fine di
ottenere nient’altro che i nostri diritti ..
Esattamente dal febbraio 2016, quando una nostra collega in servizio presso il presidio di Nicolosi
è stata sequestrata, rapinata, aggredita, riportando gravi lesioni personali, ad opera di due
malviventi durante una notte che era di turno, in guardia.
Da allora abbiamo chiesto inutilmente e ripetutamente ai nostri dirigenti, Dott. Giammanco e
Dott. Luca, rispettivamente Direttore Generale e Direttore Sanitario, la messa in sicurezza delle
sedi in cui lavoriamo. Da premettere che nonostante quanto previsto dal D. Lgs 81/08, dal decreto
assessoriale del 6 settembre 2010 e dall’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011, ancora nulla
era stato fatto per la nostra sicurezza, e l’ASP era “totalmente” inadempiente agli obblighi di legge.
A seguito di una diffida firmata da più di 200 medici, l’Asp adottò alcune misure che, alla luce di
quanto accaduto alla nostra collega in Guardia Medica a Trecastagni il 19 settembre scorso, si
sono rivelate assolutamente inutili, anzi controproducenti. Del resto, più volte avevamo segnalato
ai vertici della nostra azienda che i presìdi di sicurezza installati erano incompleti e non tenevano
conto delle diverse tipologie strutturali delle sedi.
Elenco di seguito i presìdi adottati l’anno scorso e le relative deficienze:
1) Sistema di telecamere (due per sede) a circuito chiuso. Tali dispositivi sono posizionati
solo nella sala d’aspetto e nel corridoio, non sono collegati ad una sorveglianza remota ma
registrano solamente su un supporto elettronico, per cui sarebbero utili solo a posteriori,
per accertare il fatto e individuare il responsabile, ma non servono per dare l’allarme.
Nessuna telecamera inquadra l’esterno della sede dove spesso negli anni scorsi sono
avvenuti atti vandalici a danno delle porte esterne. Inoltre nessuna manutenzione del
sistema di videosorveglianza, come pare sia previsto nel relativo contratto di appalto, è mai
stata effettuata dal momento della sua installazione. Il supporto elettronico per la
registrazione delle immagini è poggiato sulla scrivania, dove può essere facilmente
manomesso o addirittura distrutto.
2) Porte blindate. Non sono state installate all’ingresso del presidio ma collocate all’interno,
nel corridoio, in sostituzione delle porte interne tra la sala d’aspetto e l’ambulatorio. E’ di
chiara evidenza che non possono avere alcuna utilità per la sicurezza: basti pensare che al
suono del campanello (non c’è alcun citofono) il medico di guardia deve prima di tutto
recarsi all’ingresso e aprire la porta – quella di sempre, quella che c’era anche prima del
2016 -, e deve necessariamente aprire perché, in quanto responsabile di un presidio
sanitario, ha il dovere di soccorrere chiunque si presenti a chiedere una prestazione. A
questo punto, se si tratta un malfattore, i casi sono due: o il medico viene aggredito subito,
e la porta blindata, alle sue spalle, che sia aperta o chiusa non ha importanza; oppure,
come nel caso di Trecastagni, se il delinquente dice di star male, chiede di essere visitato e
si fa condurre nell’ambulatorio medico, la porta blindata, se chiusa, per il medico diventa
una terribile trappola! Preclude al medico ogni via di fuga e impedisce l’intervento dei
soccorritori.
3) Telefono SOS collegato con le forze dell’ordine e relativo braccialetto. Trattasi di un
comune apparecchio telefonico che presenta sulla parte anteriore dello stesso un tasto
SOS, premendo il quale si invia alla centrale del numero unico 112 un messaggio
preregistrato di allarme, effetto che si ottiene anche tenendo premuto per alcuni secondi il
tasto posto su un braccialetto indossato dal medico. Purtroppo il suddetto messaggio va in
viva voce all’interno della stanza mettendo in allerta l’eventuale aggressore. Questo
strumento ha mostrato la sua inadeguatezza proprio in occasione dell’ultimo episodio di
violenza perché, funzionando solo tramite linea telefonica fissa e non tramite Gps, dal
momento che l’aggressore, nel suo intento criminoso, ha immediatamente staccato i fili
del telefono, l’SOS è diventato inutilizzabile. Va precisato, inoltre, che il braccialetto
funziona solo entro un raggio limitato, che per alcune sedi non copre neanche l’intero
stabile. Ulteriore carenza di questo mezzo di allerta deriva dal recente subentro del
numero unico per le emergenze 112, a cui arriva il messaggio preregistrato e da cui
dovrebbe partire, tramite centralino, una seconda telefonata ai carabinieri. Nel caso in cui
il primo operatore non recepisca l’effettiva emergenza, è alto il rischio che l’aggressore,
anche per il funzionamento dell’apparecchio in viva voce, possa interrompere la
comunicazione e impedire al medico di chiedere aiuto ai carabinieri.
4) Videocitofono. Manca nella maggior parte delle sedi, tra cui la mia, a Ragalna, dove non
esiste neppure il citofono; noi dobbiamo aprire a chiunque senza sapere chi t roveremo
dietro la porta.
5) Grate alle porte e alle finestre. Dopo febbraio 2016 sono state montate in tutte le sedi, ma
i nostri dirigenti e gli ingegneri dell’ ASP non si sono preoccupati di salvaguardare la nostra
incolumità in caso di incendio e di terremoto; infatti nelle st rutture che non si trovano
dentro i PTE o PTA, non esistono uscite di emergenza. A Ragalna, la mia sede, ed in altri
paesini etnei, una volta chiuse a chiave le porte e le grate, non abbiamo vie di fuga.
Onorevole Presidente, noi operatori sanitari della Continuità Assistenziale non abbiamo una
“scarsa consapevolezza” sull’uso dei dispositivi di sicurezza, come invece asserisce la Ministra
Lorenzin per replicare alle parole chiare e coraggiose della Dottoressa Strano, e ne “conosciamo il
corretto utilizzo”.
Con determinazione sosteniamo – da anni – che tali mezzi non sono idonei per la nostra sicurezza e
chiediamo fermamente, a Lei e all’Assessore che si occuperà della Sanità in Sicil ia, che sia adottato
l’unico mezzo per tutelare la nostra incolumità fisica cioè l’affiancamento di una vigilanza armata,
in tutti i presidi, giorno e notte, che ci accompagni anche alle visite domiciliari.
Certamente saprà che in Italia siamo l’unica categoria di lavoratori incaricati di un pubblico
servizio, all’interno di strutture pubbliche, ad operare in completa solitudine, di notte, senza
alcuna protezione.
Considerato che i nostri dirigenti e tutti i dipendenti delle Asp, durante il giorno, godono della
protezione di “numerose” guardie armate o vigilantes (chiunque può benissimo rendersene conto
recandosi presso la sede dell’ASP a S. Maria La Grande o a Librino), che svolgono anche compiti di
“parcheggiatori”, perché in sovrannumero, mi chiedo per quale motivo noi medici di Continuità
Assistenziale, nello svolgimento del nostro lavoro, che certamente presenta un grado più elevato
di rischio, non possiamo usufruire della stessa tutela. Mi appello anche alle Sue parole,
pronunciate durante un’intervista televisiva, per chiederle di impiegare il personale in esubero in
altri settori, come i forestali, per attuare un piano di sicurezza nella sanità territoriale siciliana.
Grande è la delusione che proviamo per la mancanza, da parte dei dirigenti dell’ASP 3, di risposte
concrete alle nostre richieste, sollecitate anche dalle associazioni sindacali di categoria, in questi
due mesi. Ci vengono invece prospettate delle soluzioni inattuabili come gli accorpamenti di due
sedi limitrofe, che oltre a sguarnire alcuni Comuni di un servizio essenziale come la guardia
medica, presuppongono che ogni medico diventi “sorvegliante” dell’incolumità del collega che lo
affianca. Anche la proposta di trasferire la guardia presso le sedi già esistenti del 118 si basa sullo
stesso principio: i colleghi del 118 dovrebbero diventare nostri vigilantes e, in ogni caso,
resteremmo comunque da soli durante le domiciliari e quando l’ambulanza esce dalla postazione
per servizio.
Queste nostre legittime rivendicazioni per la sicurezza sul luogo di lavoro non devono far passare
in secondo piano la denuncia delle condizioni “indecorose” in cui operiamo ogni giorno, dal
momento che le nostre sedi versano in condizioni pietose.
Abbiamo più volte chiesto il rispetto di standard minimi, alcuni richiedono solo interventi di
ordinaria manutenzione, con istanze regolarmente protocollate, ma ci viene risposto che mancano
i fondi. Parlo di requisiti essenziali che sono previsti dalla legge, necessari per qualsiasi studio
medico, anche privato che si deve adeguare ad essi, pena la chiusura, e che invece vengono
ignorati nelle strutture pubbliche.
In molte sedi mancano servizi igienici separati (m edici e utenti) e i sanitari dei bagni sono ridotti al
limite della decenza, alcune sono prive di luci di emergenza, gli impianti elettrici non sono a norma
con fili che corrono lungo i muri, quelli idraulici obsoleti e richiedono continue riparazioni. A
Paternò, ad esempio, non esiste una stanza di riposo per il medico, come previsto dall’Accordo
Nazionale, separata dall’ambulatorio: la poltrona riposo per il medico è nella stessa stanza,
nascosta alla vista del pubblico, dietro alcuni armadietti.
Il Ministro Lorenzin, in seguito al grave fatto di Trecastagni, ha inviato sei ispettori che,
accompagnati dai nostri dirigenti, si sono recati nella suddetta sede, rilevando alcune irregolarità
come la mancanza di zona accettazione e dei servizi igienici fuori norma perché non accessibili a
disabili ed in comune per utenti ed operatori sanitari. Mi risulta che tale ispezione “annunciata” è
stata preceduta dal ripristino “straordinario” di condizioni igieniche che prima erano
impresentabili: pulitura a fondo dei sanitari, apposizione di coperchio del water e di specchio nel
bagno, cambio rubinetteria da tempo non funzionante, tinteggiatura cancello portone di accesso,
sostituzione estintori scaduti! Gli ispettori giunti da Roma però si sono limitati a visitare solo una
guardia, perché scena del reato, e hanno ignorato tutte le altre 58. Forse si aspetta qualche altro
fatto criminoso per continuare con i sopralluoghi, da noi spesso richiesti!
Per concludere, tengo a farle presente che queste segnalazioni riguardo la carenza dei sistemi
sicurezza e dei requisiti di legge delle nostre sedi di Guardia Medica (come previsti dal DVR) sono
state rappresentante in tutte le sedi. Anche in Prefettura il 28 settembre scorso, quando una
delegazione di medici è stata ricevuta dal Prefetto di Catania, a conclusione della manifestazione
svoltasi a Catania per la sicurezza nelle guardie mediche e per esprime re solidarietà alla dottoressa
violentata a Trecastagni.
Anche in occasione di un corso di aggiornamento sulla sicurezza, tenuto proprio dal Dirigente
Responsabile dello SPRESAL, Dipartimento Prevenzione ASP 3, che sarebbe l’Organo preposto alla
vigilanza: in quella sede il Dirigente ha dovuto ammettere che il suo dipartimento non è nelle
condizioni di poter effettuare i controlli necessari in quanto composto da solo due unità, lui e un
altro dipendente, e non riesce ad evadere tutte le pratiche riguardanti le denunce che
giornalmente gli pervengono.
Ecco perché ci sentiamo scoraggiati e impotenti, con la netta sensazione che nulla possa cambiare.
Eppure il fatto che io Le stia scrivendo questa lettera dimostra ancora la mia fiducia nelle
Istituzioni, assieme alla speranza che il nostro lavoro di medico del territorio possa ritrovare la sua
dignità.
Dott.ssa Rosaria Rapisarda
Medico di Continuità Assistenziale

Nella foto Nino Rizzo e la Rapisarda durante la conferenza stampa all’Ordine dei medici

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Redazione

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