I valori di antigene prostatico specifico (Psa) espressi dagli esosomi, vescicole extracellulari di diametro tra 30 e 150 nanometri secrete dalla maggior parte delle cellule, permettono di distinguere il cancro della prostata da tutte le altre condizioni, compresa l’iperplasia prostatica benigna. Ecco quanto emerge da uno studio pubblicato su Cancer Letters e svolto in collaborazione tra l’Unità di Neuroimmunologia dell’Irccs Santa Lucia e il Dipartimento di scienze urologiche del Policlinico Umberto I di Roma, che descrive una nuova tecnica, brevettata dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e contraddistinta da meno falsi positivi e diagnosi più accurate. «L’alto numero di falsi positivi dato dall’attuale esame per il cancro prostatico, basato sul Psa sierico, comporta problemi sia nelle reazioni dei pazienti sia nei costi per le analisi che necessariamente seguono un’indagine con esito positivo» afferma Stefano Fais del Dipartimento di Oncologia e medicina molecolare dell’Iss, precisando che la determinazione dei livelli plasmatici di esosomi esprimenti Psa potrebbe consentire sia diagnosi più precise e tempestive, sia studi di screening a livello globale. I dati clinici su Cancer Letters riguardano 45 campioni di plasma, ma è in corso uno studio clinico di validazione della metodica su 250 campioni, approvato dai Comitati Etici di policlinico Umberto I e dall’Iss. «Se i risultati venissero confermati avremmo a disposizione un efficace strumento di prevenzione secondaria del cancro prostatico» afferma Alessandro Sciarra, professore ordinario di urologia del Policlinico Umberto I. L’Irccs Santa Lucia di Roma ha contribuito a questo studio con un’analisi quantitativa e qualitativa dei livelli di esosomi circolanti che esprimono Psa permettendo a una tecnologia finora usata solo nella ricerca di base di entrare nella pratica della ricerca clinica. «La collaborazione con l’Iss ci ha consentito di sfruttare il nuovo citofluorimetro per la caratterizzazione di queste nano-particelle» commenta Luca Battistini, Responsabile dell’Unità di Neuroimmunologia della Fondazione Santa Lucia Irccs, sottolineando che la stessa tecnica verrà applicata anche allo studio delle malattie neurodegenerative per individuare nuovi biomarcatori utili a diagnosticare e curare queste patologie.